Viaggiare senza aerei
Dopo pranzo entro su Facebook e vedo un articolo di “Internazionale”:"I nuovi viaggiatori che non prendono l'aereo".
La prima cosa che mi viene in mente è Kim, una ragazza tedesca conosciuta a
Cork durante il mio Erasmus. Un giorno mi disse che sarebbe andata in Asia
quest’ estate, non ricordo se a visitare un’amica in Cina o in India… la mia
risposta allora fu: “wow! Bellissimo! Ma chissà quanto costa il volo…?” al che
mi disse “Volo? Ma no, io studio geografia, amo il pianeta… sarei un’ipocrita
se lo uccidessi per viaggiare. Prendo il treno, ci vogliono solo 7 giorni”.
Rimasi di stucco. Non saprei dire se più per la sua coerenza e pazienza o per
la mia limitatezza nel non pensare nemmeno ad una singola possibilità diversa
dall’aereo. La nostra conversazione non è proseguita perché entrambe avevamo
lezione, ma a me è bastata così: breve, ma intensa.
Una cosa bella del
viaggiare è la possibilità di conoscere nuove persone, anche straniere. Certo,
è possibile conoscere nuove persone dove si vive ogni giorno se solo lo si
vuole, ma il viaggio ti mette in una condizione diversa, transitoria, che per
questo motivo ti spinge ad osare un po’ di più, anche nelle piccole cose. Se
camminassi per le strade di Varese mi sentirei in imbarazzo a rivolgere la
parola ad uno sconosciuto, anche ad un mio coetaneo. Per il semplice motivo che
entrambi siamo immersi nella nostra realtà privata, con le nostre cose da fare
e i nostri legami, mi sembrerebbe di “non avere il diritto” di entrare nella sua sfera privata, perché nessuno dei
due ne ha bisogno. In viaggio, invece, così come in Erasmus, si è immersi in un
contesto nuovo ed estraneo, che per questo motivo legittima, quando non ne
impone la necessità, la creazione di legami nuovi.
Conoscere persone nuove
può fornirti diversi spunti di riflessione, può ampliare i tuoi orizzonti.
D’altronde, a parlare sempre con le stesse persone si finisce col parlare
sempre delle stesse cose, difficilmente qualcosa ti stupirà. Ecco dunque questo
grande vantaggio del viaggiare, soprattutto inteso come permanere in luoghi
diversi per un tempo relativamente lungo. Qui entra in gioco il concetto di viaggio lento, senza aerei.
Per viaggiare senza aerei
basta muoversi in treno, autobus, bici, barca o, più semplicemente, a piedi.
Leggo l’articolo di ”Internazionale” con interesse e inizio a immaginarmi in
un’impresa simile. Mi immagino camminare con un grande zaino in spalla, sudata
e dolorante ma a mio modo contenta. Immagino il mal di schiena, il male ai
piedi, le fiacche, probabilmente. Immagino il cammino di Santiago o quello
della via Francigena, e mi piace pensare che, nonostante la fatica, potrei
superare i miei limiti. Mi immagino girare in bicicletta, attenta a non cadere
o finire investita perché non sono abituata a girare nel traffico. Mi immagino
diversa, un po’ più coraggiosa, un po’ più improvvisata. Poi penso ad un
viaggio in barca, al lento proseguire nella vastità del mare.
Mi soffermo su dei
frammenti di frase: “…i passaggi-barca… senza dimenticare l’autostop…”.
“Passaggi-barca”, “autostop”. Mi fermo un secondo. Un’immagine si
crea nella mia mente: salgo in barca con degli sconosciuti, dei pescatori
forse, che mi offrono un passaggio su un’isoletta o sulla costa opposta. Ci
troviamo a largo, solo noi, i pesci e l’acqua. A quel punto è facile
approfittarsene... non si sa mai chi puoi incontrare. Una
scena simile mi viene in mente se penso a come sarebbe fare un autostop. Pensieri spiacevoli. Eppure eccoli lì, nel profondo della
mia psiche, evocati con troppa facilità. Mi chiedo se sono io ad esagerare, se
sono i media ad ingigantire le paure di noi donne oppure se questo timore non è
altro che spirito di conservazione, buonsenso.
Continuo a leggere. Si
parla di Darinka, una ragazza italo-croata che ha attraversato l’Italia a piedi
e senza soldi, raccogliendo i desideri delle persone in una scatola. “Che
coraggio”, mi dico. Penso a quelle
ragazze francesi che ho conosciuto sempre in Erasmus, che hanno fatto il giro
dell’Irlanda in autostop. Penso alla “Hitch-hiking competition” organizzata da
UCC (University College Cork): arrivare nel luogo più lontano possibile, sempre
in autostop. Sono confusa. Penso ai rischi e, di contro, alle possibilità. Penso
alla fragilità della mia condizione. Penso alla prudenza: come capire quando è
eccessiva? Non mi piace questa condizione, mi sembra limitante. Mi viene in
mente Leopardi, che scrisse al padre:
“Odio la vile prudenza
che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d’ogni grande azione, riducendoci
come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa
infelice vita senz’altro pensiero” (Giacomo Leopardi, lettera al padre Monaldo, luglio 1819)
I commenti, in questo
caso, non sono necessari.
In questa situazione,
come in tutte le altre, mi piace pensare che la soluzione stia nell'equilibrio,
nel mio amato giusto mezzo. Per
quanto riguarda me, forse la prima cosa da fare è un bel viaggio senza aerei,
ma in compagnia. Un viaggio diverso, una sfida, una possibilità, un confronto –
con qualcuno al mio fianco per aiutarci a vicenda.
Nonostante la paura e la
diffidenza, so che il viaggio è un’opportunità unica, un insegnante modello.
Non vedo l’ora di
partire.
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