Diario danese: IV. Alla scoperta di Aalborg
Arrivo ad Aalborg
in una stupenda giornata di primavera. Ad accogliermi trovo una città all’apparenza
quasi disabitata, ma molto carina.
La prima
cosa che vedo uscita dalla stazione sono degli edifici dai mattoni rossi e una
statua equestre color verde acqua. Non ho idea di dove andare, ma questa volta,
anziché affidarmi a Google Maps – sempre e comunque il mio salvatore -, decido
di avventurarmi alla scoperta di questo luogo “a sentimento”.
Inizio,
così, a imboccare le vie che mi attirano di più, lasciandomi guidare solo dall’estetica
e da qualche insegna curiosa. Non c’è molta gente in giro, ma le strade mi
piacciono molto, mi trasmettono serenità. L’architettura mi ricorda che sono
nel nord Europa, in particolare in una città industriale e portuale. Mi imbatto
per caso in un mercato locale, completamente all’aperto. Le bancarelle di
frutta e verdura, salumi, formaggi, pesce e fiori attirano quelle poche persone
di passaggio, forse sono clienti abituali.
Sono le 13:00
e non ho ancora mangiato, dunque provo a chiedere al pescivendolo se ha del
pesce fritto, ingolosita da una pubblicità che lui stesso espone davanti al suo
bancone. Inaspettatamente, mi fa cenno di non capire: è il primo danese che
incontro a non saper parlare inglese. In mio soccorso arriva una donna di mezza
età, che a sua volta si era avvicinata per comprare del pesce. “Jeg hjælper dig” – “ti aiuto io”, mi dice. Traduce la mia richiesta
e la risposta: esaurito. Peccato. La saluto con un sorriso gigante, grata per
la sua gentilezza spontanea.
Proseguo il
mio tour improvvisato della città e mi avvicino man mano al centro storico. Non
so se dipende dalla direzione che sto prendendo o dall’ora che man mano si fa
più tarda, ma le strade iniziano a riempirsi di persone, a passeggio o a fare
compere. Entro in una via pedonale, le strade piene di negozi e di voci. Vedo una
chiesa bianca nella strada parallela, a colpirmi è la torre del campanile,
dalla punta tondeggiante alla base e appuntita in cima: bellissima.
Per strada mi lascio distrarre ancora, questa volta da una pelletteria con molti articoli
in saldo. Entro, curiosa, e trovo un commerciante molto cordiale. Mi chiede da dove
vengo e cosa faccio in Danimarca. Gli racconto un po’ di me e mi dice che, a
suo parere, la zona in cui vivo è la più “tradizionalista” del paese. O almeno
dello Jutland, la regione in cui mi trovo. “Sebbene sia una regione molto
piccola, ci sono tante differenze. Lì le persone non sono aperte come qui, preferiscono
fare come hanno sempre fatto. Sono anche più religiosi rispetto al nord. Per te
sarebbe meglio qui, o ancora di più Aarhus, c’è più vita lì.” Capisco cosa
intende, nonostante io non abbia nulla contro il sud dello Jutland e la sua
gente.
Mi piace
parlare un po’ con qualcuno del posto, è sempre interessante sentire come la
pensano. Alla fine della nostra chiacchierata – mi ha convinta - esco dal
negozio con una borsetta molto bella e molto scontata, ma soprattutto con gli
occhi, il sorriso e il pensiero di quest’uomo nel mio cassetto dei ricordi.
Per pranzo,
alla fine, mi ritrovo in un posticino thai. “Lo vuoi piccante?” - mi chiede la
ragazza al bancone prendendo la mia ordinazione – “Solo un pochino”. Non l’avessi
mai detto: il pasto più piccante della mia vita. Buono però, va detto.
Riprendo il mio giro, ormai a pomeriggio inoltrato. Dopo una passeggiata lungo il fiume,
che in realtà è già mare, sento della musica latina. Decido di seguirla e quel che
vedo è decisamente una sorpresa: un gruppo di persone, di età compresa tra i 20
e 70 anni, sta ballando di fronte a una banca. Devono essere dei dilettanti che
seguono qualche corso in città, infatti tutti conoscono i passi e c’è un uomo
col microfono che balla in cerchio con loro. Chi l’avrebbe mai detto! Non erano
i danesi quelli che non escono mai? Quelli che non ballano se non sono
ubriachi? Certo, ogni generalizzazione è sbagliata, ma questo spettacolo proprio
non me l’aspettavo. Rimango un po’ a guardarli: il sole brilla, fa abbastanza
caldo da ballare in maglietta e sui volti di queste persone vedo tanta allegria
e complicità.
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