Diario danese: I. L'arrivo
Giovedì 25 gennaio 2018
Esattamente due settimane fa, l’11 gennaio, sono arrivata in
Danimarca per svolgere il mio Servizio di Volontariato Europeo (SVE) in una
scuola. Una scuola particolare, sia scuola superiore che collegio, ma dove i
ragazzi studiano un anno solo, in rari casi due, e nonostante vivano qui
possono tornare a casa il weekend, se lo desiderano. È una scuola - l' efterskole - che non
esiste in Italia e bisogna conoscere il sistema educativo danese per capire da
dove arriva questo strano miscuglio. Per ora dirò solo che questa scuola ha
perfettamente senso di esistere e che se esistesse anche in Italia, io l’avrei
assolutamente voluta frequentare.
Ma ritorniamo al mio arrivo: è l’11 gennaio 2018 e solamente
tre settimane fa ho fatto il colloquio per venire a lavorare qui e sono stata presa.
Senza averlo mai veramente pianificato. È stato quasi un caso, un puzzle in cui
tutti i tasselli si sono ritrovati da soli a combaciare perfettamente: la
laurea, il desiderio di fare un’esperienza pratica all’estero, la volontà di
provare a insegnare italiano, una candidatura inviata di getto il giorno prima
della scadenza. Una serie di piani costruiti e demoliti alla velocità della
luce che avevano portato la mia testa da tutta altra parte, finché non c’è
stato un finale a sorpresa, questo, per cui sono già incredibilmente grata. Ho
avuto la mia buona dose in fortuna.
È andata così: da un giorno all’altro il mio immediato futuro ha assunto tutto un altro aspetto, e il momento di partire si avvicinava. L’entusiasmo, la curiosità e la paura hanno costituito una triade di emozioni costantemente in circolo, mentre raccontavo ad amici e parenti cosa mi aspettava, per informarli ma soprattutto per raccontare a me stessa, ad alta voce, a quale avventura sarei andata incontro.
Finalmente – anche se al momento, sotto sotto, non lo stavo
aspettando – arriva il giorno della partenza. Come al solito il mio cervello è
un mix di adrenalina e apatia. So quello che lascio, ma non quello che troverò;
sono entusiasta e curiosa, ma sono sicura di voler lasciare tutto e tutti qui?
Sì, e ammetto a me stessa che non è facile, ma so che ne varrà la pena.
Al mio arrivo all’aeroporto di Billund c’è una signora ad
aspettarmi: bionda, occhi azzurri, sorriso grande. La conosco: è la prof con
cui ho fatto il colloquio e con cui so che lavorerò, quella che dal primo
momento mi è subito piaciuta. Dopo esserci salutate come se fossimo già amiche,
ci dirigiamo verso la macchina: è buio, pioviggina e c’è uno strano odore di
salsedine, anche se il mare non è vicinissimo. C’è vento, fa freddo. Niente di
inaspettato.
Tove, la prof, durante il viaggio in macchina mi racconta un
po’ di lei e della scuola, della vita degli studenti e dello staff, di tutte le
cose che si fanno a scuola e di tutte quelle che potrò fare mentre sarò lì. Mi
parla degli studenti educati, dei rapporti informali tra insegnanti, preside,
bidelli e cuoche: tutti sono sullo stesso piano. Mi parla di tante cose che mi
piacciono e alle quali stento a credere, ma ora che sono qui devo dire che era
tutto vero.
Al nostro arrivo a scuola inizia a presentarmi a tutti
quelli che incontriamo: tutti sorridono e mi porgono la mano, è un’atmosfera
vivace e tre studenti molto diversi tra loro, ma si direbbe buoni amici,
iniziano subito a chiacchierare con me, per poi accettare di farmi fare un tour
della scuola di benvenuto – su proposta di Tove.
Sono ragazzi simpatici e appassionati di politica: mi si
presentano, infatti, discutendo dell’orientamento dei partiti danesi rispetto
alle categorie tradizionali di Destra e Sinistra, mostrando una consapevolezza
rispetto alla realtà politica del loro paese di gran lunga maggiore rispetto alla mia. Mi confortano, poi, dicendo che loro sono un’eccezione, probabilmente gli
studenti più appassionati di questo argomento nell’intera scuola. Tiro un sospiro
di sollievo. Ma rimango impressionata da un’altra loro grande capacità: quella
di parlare inglese. Raramente ho incontrato persone, studenti per di più, con
una tale padronanza di questa lingua, e mai mi sarei aspettata di sentire
ragazzi di 16 anni parlarla così. Mi viene subito chiarito anche questo secondo
punto: i film e i programmi TV in inglese non vengono doppiati in danese,
motivo per cui tutti in questo paese crescono in continuo contatto con questa
lingua e finiscono per impararla quasi come se fosse la loro. Avevo già sentito
parlare di questo fatto, ma mai e poi mai avrei pensato che i risultati
potessero essere tanto positivi e così precocemente.
Iniziamo il giro della scuola. Al piano terra, dove ci
troviamo, c’è un’ampia area adibita a punto di ritrovo per studio o tempo
libero. Ci sono divanetti, tavoli, sedie e sgabelli, un microonde per i popcorn
– il cui odore aleggia nell’aria almeno una volta al giorno -, un calcetto
balilla e dei giochi da tavola in degli appositi mobiletti. C’è anche uno
schermo che mostra il piano della settimana o del giorno. Questo grande
pianerottolo dà su diverse porte. Alcune portano il nome di città straniere,
come Monaco, Istanbul o Strasburgo: si tratta delle aule in cui si tengono le
lezioni. I nomi delle classi ribadiscono il carattere internazionale di questa
scuola – che appunto si definisce “europea” (Europæiske) -, dove le materie
principali sono le lingue straniere e le scienze sociali e politiche.
Le altre porte presenti nella sala sono molto grandi e portano
alla palestra e alla sala mensa. La palestra è molto grande e il pavimento è
pieno di righe colorate per i diversi sport. Si gioca a calcio, pallamano –
sport nazionale danese – badminton (volano), football americano e basket. Ci
sono però anche corsi di Box e parkour. Nella palestra c’è anche una piccola
parete da arrampicata. Se si sale una scala, si raggiunge una specie di
terrazzo interno dove si trovano degli attrezzi da palestra, un tavolo da
biliardo e una TV con playstation e console Wii.
Procediamo oltre e, dopo aver visitato il dormitorio, mi
mostrano la classe di musica. Ci sono 4 tastiere, una batteria, diverse
percussioni e una dozzina di chitarre appese al muro: classiche, acustiche e
elettriche. Ovviamente non mancano gli amplificatori e qualche basso. Stento a
credere anche a questo, poi ricordo che è una scuola molto particolare e mi
giustifico questa meraviglia.
Seguono una visita alla sala proiezioni, fondamentalmente un
piccolo cinema a gradoni con diversi puff per stare comodi, e al laboratorio di
scienze. Ma il pezzo grosso arriva dopo: la sala degli e-sports. Una quindicina
di computer Asus con postazione da “gaming” in una classe interamente dedicata
a questa disciplina (?) dell’informatica. I ragazzi mi spiegano che in questa
classe si ritrovano a giocare quando hanno tempo libero, ma anche che due volte
a settimana c’è un laboratorio facoltativo in cui possono imparare a giocare a
specifici giochi, anche in vista di tornei e competizioni. Incredibile.
Alla fine del giro si sono fatte le 21: è l’ora in cui tutti
si ritrovano nella mensa per mangiare una fettina di torta e bere tè, caffè,
latte o succo di frutta. Questa abitudine mi piace già e ci uniamo al resto
degli studenti. Dopo la mia tazza di tè saluto i ragazzi e mi dirigo in camera,
ho ancora la valigia da disfare e ho bisogno di riposare un po’ dopo la lunga
giornata.
Ci sono già tante cose che mi stupiscono e
incuriosiscono.
Come inizio non è affatto male.
Come inizio non è affatto male.
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